
L'opera è composta da 143 pannelli assemblati da Guttuso. Con una superfice di 130 metri quadri, questa è l'opera più grande mai composta da Renato Guttuso. Installata sulla volta del Teatro Vittorio Emanuele di Messina.
La leggenda di Colapesce è un racconto davvero antico, che trova le sue origini nei canti e nelle storie degli antenati.

Renato Guttuso
Renato Guttuso, nasce a Bagheria, in Sicilia, il 26 Dicembre 1911.
Della sua infanzia Guttuso stesso scrive.. "tra gli acquarelli di mio padre, lo studio di Domenico Quattrociocchi, e la bottega del pittore di carri Emilio Murdolo prendeva forma la mia strada avevo sei, sette, dieci anni...".Nel 1928 partecipa alla sua prima mostra collettiva a Palermo, ma ormai da quando aveva 13 anni firma i suoi quadri dipinti su tavolette di legno delle quali utilizza le venature del legno come elemento decorativo.
Dai primi quadri Renato Guttuso, fondamentalmente verista e naturalista, insegue un'esecuzione prettamente figurativa di temi ancorati al mondo contadino, rurale, popolare: temi sociali o soggetti dichiaratamente politici.
"La pittura è il mio mestiere. Cioè è il mio mestiere ed il mio modo di avere rapporto con il mondo. Vorrei essere appassionato e semplice, audace e non esagerato. Vorrei arrivare alla totale libertà in arte, libertà che, come nella vita, consiste nella verità."
Messina, teatro Vittorio Emanuele. Descrizione del dipinto.
Nel 1985, Renato Guttuso intraprende un’opera monumentale, affrescando l’intera volta del soffitto del teatro lirico “Vittorio Emanuele” di Messina, rappresentando la leggenda di Cola Pesce. L’opera, composta di 143 pannelli assemblati da Guttuso nel suo studio, fu commissionata dall’allora consulente del teatro Gioacchino Lanza Tomasi. Con una superficie di 130 metri quadri, è la più grande realizzata dal maestro di Bagheria, e una delle sue ultime opere. Installata sulla volta del Teatro Vittorio Emanuele, suggella la discussa e lunghissima ricostruzione del massimo teatro cittadino. Un giovane Colapesce s’immerge nel mare dello Stretto tra due gruppi di sirene. Un’atmosfera di festa, tripudiante di delfini, pesci spada e gabbiani accoglie il tuffo di Cola. L’unico presentimento della sua tragica fine forse traspare nel volto della prima sirena in alto a destra, ma per tutto il resto, il dipinto è una celebrazione del mito e dello scenario naturale. E’ una visione allegorica e celebrativa dell’elemento acquatico, ma, di fatto, la città non c’è, Cola s’immerge nel mare che è più di Omero che di Federico II. Una delle varianti della leggenda, infatti, vuole che proprio l’imperatore svevo avesse sfidato Cola lanciando in mare dei monili che l’uomo pesce avrebbe recuperato fino all’ultima fatale immersione. In un’altra versione, Cola trovò negli abissi tre colonne che sostenevano la Sicilia. Tra queste una era consumata dal fuoco dell’Etna, così Cola decise di restare in fondo al mare per sorreggere la colonna e con questa tutta l’isola.
Colapesce
Nella sua versione più conosciuta, quella messinese, si narra di un certo Nicola (Cola di Messina), figlio di un pescatore, soprannominato Colapesce per la sua abilità nel muoversi in acqua; di ritorno dalle sue numerose immersioni in mare si soffermava a raccontare le meraviglie viste e, talvolta, riportava tesori.
La genti lu chiamava Colapisci
pirchì stava ‘nto mari comu ‘npisci
dunni vinia non lu sapia nissunu
fors’ era figghiu di lu Diu Nittunu.
‘Ngnornu a Cola u re fici chiamari
e Cola di lu mari curri e veni.
O Cola lu me regnu a scandagghiari
supra cchi pidamentu si susteni
Colapisci curri e và.
Vaiu e tornu maestà.
Cussì si jetta a mari Colapisci
e sutta l’unni subitu sparisci
ma dopu ‘npocu, chistà novità
a lu rignanti Colapisci dà.
Maestà li terri vostri
stannu supra a tri pilastri
e lu fattu assai trimennu,
unu già si stà rumpennu.
O destinu miu infelici
chi sventura mi predici.
Chianci u re, com’haiu a fari
sulu tu mi poi sarvari.
Su passati tanti jorna
Colapisci non ritorna
e l’aspettunu a marina
lu rignanti e la rigina.
Poi si senti la sò vuci
di lu mari ‘nsuperfici.
Maestà! ccà sugnu, ccà
Maestà ccà sugnu ccà.
‘nta lu funnu di lu mari
ca non pozzu cchiù turnari
vui priati la Madonna
ca riggissi stà culonna
ca sinnò si spezzerà
e la Sicilia sparirà.
Su passati tanti anni
Colapisci è sempri ddà
Maestà! Maestà!
Colapisci è sempri ddà
Leggenda tradotta in italiano:
La gente lo chiamava Colapesce
perché stava in mare come un pesce
da dove veniva non lo sapeva nessuno
forse era figlio del Dio Nettuno.
Un giorno a Cola il re fece chiamare
e Cola dal mare di corsa venne.
O Cola il mio regno devi scandagliare
sopra che fondamento si sostiene.
Colapesce corre e va
Vado e torno maestà.
Così si tuffa a mare Colapesce
e sotto le onde subito sparisce
ma dopo un poco, questa novità
al suo re Colapesce dà.
Maestà le terre vostre
stanno sopra a tre pilastri
e il fatto assai tremendo,
uno già si sta rompendo.
O destino mio infelice
che sventura mi predici.
Piange il re, come debbo fare
solo tu mi puoi salvare.
Sono passati tanti giorni
Colapesce non ritorna
e l’aspettano alla marina
il re e la regina.
Poi si sente la sua voce
dal mare in superficie.
Maestà! qua sono, qua
Maestà! qua sono, qua
nel fondo del mare
che non posso più tornare
voi pregate la Madonna
che possa reggere questa colonna
altrimenti si spezzerà
e la Sicilia sparirà
Sono passati tanti anni
Colapesce è sempre là
Maestà! Maestà!
Colapesce è sempre là

La leggenda di Colapesce
La leggenda di Colapesce è un racconto davvero antico, che trova le sue origini nei canti e nelle storie degli antenati. Narra di Nicola, detto Cola, figlio di un semplice pescatore che viveva a Messina. Cola era un vero amante del mare, tanto da passare le sue giornate a nuotare, come un pesce. Non a caso venne soprannominato Colapesce. Le sue spiccate capacità nel nuoto, lo spingevano a esplorare le meraviglie del mare, per poter trovare tesori da portare sulla terraferma. Incuriositosi particolarmente, l’imperatore Federico II di Svevia lo chiamò nel suo palazzo, per sfidarlo in una gara di nuoto. Lo scopo era quello di ritrovare, nei fondali marini, una coppa che lo stesso sovrano aveva, precedentemente, gettato in mare. Fu così che Colapesce, tuffandosi, riuscì a recuperare l’oggetto. Federico II decise, allora, di sfidarlo nuovamente, scegliendo un luogo ancora più remoto, in cui l’acqua era ancora più profonda. In questo caso, a dover essere recuperata era la corona dello stesso imperatore. Anche in questa sfida, Colapesce ne uscì vincitore, portando in superficie l’oggetto. Ma Colapesce fu messo nuovamente alla prova da Federico II, il quale gettò un anello, in una parte del mare molto insidiosa. Qui Colapesce, mentre nuotava verso le profondità, si rese conto di qualcosa di strano, ossia di tre colonne. Il loro scopo era quello di sorreggere la Sicilia e di non farla sprofondare. Tuttavia, una di queste colonne era talmente danneggiata da mettere in allarme Colapesce e di spingerlo a prendere una decisione: sostituirsi ad essa. Fu così che non riemerse mai più, lasciando sbigottiti i familiari, l’imperatore e l’intera corte. Secondo la leggenda, Colapesce si trova ancora lì, a sorreggere con forza la Sicilia. Si narra, inoltre, che i tremori della terra, nelle zone di Messina e Catania, siano dovuti ai movimenti di Colapesce, intento a cambiare spalla.

Voluto da Ferdinando II di Borbone, fu inaugurato nel 1852 e realizzato su progetto dell'architetto napoletano Pietro Valente. Dopo il terremoto del 1908, è stato quasi interamente ricostruito.