Miniere e minatori in Sardegna

a cura di Classe 2A -gruppo1-A.S. 2022/23- della Scuola Secondaria di I grado dell'Istituto Comprensivo "E. Puxeddu" di Villasor

L'articolo cercherà di ricostruire la storia delle miniere e delle tecniche di estrazione dei minerali in Sardegna, soprattutto dal secondo dopoguerra ad oggi. Racconterà le difficili condizioni di vita dei minatori, le lotte sindacali e la riconversione dei siti in luoghi di cultura e centri museali.

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Storia delle miniere sarde

La Sardegna è una terra molto antica e la sua storia è stata legata alla presenza di ricchi giacimenti minerari, concentrati nel sud-ovest dell'isola, ma distribuiti in diverse zone, come dimostrano i nomi dei luoghi: Gennargentu, Argentiera, Capo Ferrato, Cala Piombo, ecc.. L'attività estrattiva era rivolta soprattutto al piombo e allo zinco. Tuttavia, nei diversi periodi storici, ad esempio durante le guerre mondiali, furono importanti le estrazioni di antimonio nel Sarrabus, di molibdeno a Gonnosfanadiga, di stagno a Villacidro e di ferro a Montiferru. Negli anni dell'autarchia fascista, oltre ai metalli, si sviluppò anche lo sfruttamento dei giacimenti di carbone, che divenne il settore principale e permise lo sviluppo del movimento operaio del Sulcis-Iglesiente, soprattutto dal secondo dopoguerra.

Preistoria

La storia mineraria in Sardegna iniziò con l’estrazione dell’ossidiana nel VI millennio a.C. Le uniche miniere dove si poteva trovare l’“oro nero dell’antichità” erano situate nel monte Arci. L'ossidiana è un vetro vulcanico naturale, da cui si ricavavano armi e utensili. Sono stati individuati 160 insediamenti dai quali l'ossidiana veniva inviata verso la Corsica, l'Italia settentrionale e la Francia meridionale. Durante il Neolitico, la pietra è stata utilizzata anche per fare oggetti di lusso ed ornamenti, come le statuette della Dea Madre. La metallurgia si perfezionò e, in epoca nuragica, raggiunse una notevole specializzazione, come testimoniano i bronzetti ritrovati durante gli scavi archeologici. Con lo sviluppo delle tecniche di lavorazione dei metalli, migliorò anche l'arte mineraria che permise di estrarre grandi quantitativi di minerali. Gli stessi Fenici prima e i Cartaginesi poi, frequentarono la Sardegna, attratti dalla sua posizione geografica e dalle sue miniere. Essi sfruttarono soprattutto i territori dell'Iglesiente, dove sono stati ritrovati i segni di scavi e scorie di fusione dei metalli.1

Epoca Romana

L’attività mineraria, nel periodo romano, si sviluppò notevolmente e di questo si hanno diverse dimostrazioni scritte. “La Sardegna è stata la terza provincia mineraria dell’Impero dopo Spagna e Gran Bretagna.”

A partire dal 228 a.C. e soprattutto dopo il 215 a.C., con la sconfitta degli ultimi nuragici guidati da Ampsicora e dal figlio Josto, la produzione mineraria sarda fece un grande balzo in avanti, nella produzione di argento e di piombo. L'argento era necessario per coniare le monete e il piombo era utilizzato per la produzione di numerosi oggetti (anfore, tessere, strumenti sanitari, recipienti di ogni genere), ma anche per la realizzazione delle condutture di acqua potabile: le canalizzazioni si fabbricavano con il piombo. L'importanza dei giacimenti sardi fu dimostrata anche dal nome di Plumbaria, dato all'isola di S. Antioco.

La falsa convinzione che nell'isola ci fossero giacimenti d'oro, portarono un numero eccessivo di minatori in Sardegna, tanto che gli imperatori romani Graziano, Valente e Valentiniano emisero degli editti per ridurre le migrazioni.2

Periodo Medievale

Durante la dominazione dei Bizantini, ci fu un aumento nei traffici, grazie alle produzioni d'argento che portarono un certo benessere alle popolazioni costiere. Verso il 700, la presenza delle scorrerie degli Arabi nel Mediterraneo, ridussero i traffici. Durante questo periodo la Sardegna fu sempre più isolata e ciò permise la costituzione di quattro regni indipendenti: I giudicati di Cagliari, di Arborea, di Gallura e del Logudoro (Torres). Sino al IX sec. l'attività estrattiva alternò periodi di splendore a periodi di decadenza, ma non venne mai interrotta.

Nell'XI secolo ci fu un aumento demografico in Europa, che portò ad un risveglio artistico e culturale, mentre in Sardegna tornarono gli Arabi, che rappresentavano un pericolo per la diffusione dei commerci. Per sconfiggere i Mori, le città marinare di Pisa e Genova aiutarono i Sardi a porre fine all'occupazione islamica. L'influenza Pisana si estese tanto che il Giudicato di Cagliari fu diviso in tre parti, una delle quali fu assegnata al Conte Ugolino della Gherardesca (pisano). Visse nell'isola per 10 anni e riformò il settore minerario-metallurgico. Egli amministrò il territorio di Argentaria del Sigerro e allargò i confini anche a Villa di Chiesa (Iglesias), detta città dell'argento.

Nel territorio dell'Argentiera non era insolito che si creassero delle compagnie per finanziare gli scavi. Segnavano con una croce il sito scelto, ma i lavori dovevano iniziare entro tre giorni, pena la decadenza del diritto.

Nel 1300, il dominio Aragonese introdusse il sistema feudale, iniziò un lungo periodo di declino tanto che il XVI secolo fu definito "un gelido inverno della Sardegna mineraria e metallurgica".

Gli avvenimenti successivi portarono l'isola sotto la dominazione austriaca, spagnola e nel 1720 passò ai Savoia.

Dal Regno di Sardegna alla fine dell'Ottocento

Nel Settecento venne rinnovato l’interesse verso l’attività mineraria. Nel 1721 fu concessa ai signori Pietro Nieddu e a Stefano Durante la possibilità di sfruttare le miniere e le fonderie sarde per ben vent’anni.

Verso il 1740 furono chiamati nell'isola un gruppo di minatori tedeschi che introdussero l'uso dell'esplosivo, sconosciuto nelle miniere sarde. Grazie all'aiuto dei tedeschi venne costruita una grande fonderia, presso Villacidro. In questo periodo l'attività estrattiva si estese a tutta la Sardegna, non solo all'Iglesiente. Furono estratti minerali di ferro, piombo, argento, zinco e rame. La prima estrazione di carbone, nell'isola, risale intorno al 1850. Nel 1863 la scoperta della nitroglicerina da parte di Alfred Nobel, portò all'invenzione della dinamite, che fu largamente usata dagli anni '70.

Nel 1829 fu inviato dal governo piemontese l'ingegnere F. Mameli a controllare lo stato delle miniere, grazie a lui furono migliorate le leggi sarde e le regole di sicurezza. Si impegnò per estendere le leggi sabaude anche all'isola. Purtroppo morì prima che il suo sogno si avverasse. La legge del 1840, che separava la proprietà del soprassuolo da quella del sottosuolo aumentò le concessioni minerarie.

Nel 1871 il deputato Quintino Sella pubblicò una relazione dalla quale risultava, dato il basso livello d'istruzione e preparazione tecnica dei sardi, che la maggior parte della manodopera mineraria qualificata proveniva dal continente. Nella relazione si affermava che i guadagni che provenivano dallo sfruttamento minerario non venivano investiti nell'isola. Si evidenziava inoltre la disparità di trattamento economico tra i minatori sardi e quelli di origine continentale, nonché la necessità di istituire una scuola per capi minatori e fonditori a Iglesias.3

Durante i conflitti mondiali

Agli inizi del 1900 la condizione sociale dei minatori era gravissima. Aumentò la criminalità, causata dal bassissimo reddito, rispetto alle altre regioni: 856 lire della Sardegna rispetto a quello della Liguria di 3716 lire, quello della Lombardia di 2520 lire o della Basilicata con 1406 lire. Ci furono anche molte proteste da parte dei minatori, per ottenere un aumento dei salari e maggiore sicurezza sul lavoro.

La più famosa manifestazione sindacale fu quella di Buggerru nel settembre del 1904, nota come eccidio di Buggerru. Il 2 settembre fu comunicato che, a partire dal giorno successivo, la pausa tra i due turni di lavoro, quello mattutino e quello pomeridiano, sarebbe stata ridotta di un'ora. La reazione fu immediata e cominciò lo sciopero dei minatori, che presentarono le loro richieste alla società. La domenica del 4 settembre, mentre la delegazione sindacale era in trattative, gli operai si erano riuniti, contemporaneamente i titolari della ditta chiamarono l'esercito, che fece fuoco sugli operai uccidendone tre e ferendone molti altri.

A causa della Prima Guerra Mondiale, la Sardegna perse uno dei suoi maggiori acquirenti dei minerali di zinco e, la mancanza di lavoro, causò meno bisogno di manodopera: alla fine dell’agosto di quell’anno furono licenziati ben 18 mila operai. Aumentò però la richiesta soprattutto di carbone e ferro per l’esercito; l'estrazione di zinco e piombo continuò, ma in minor quantità. Molti lavoratori andarono combattere e la richiesta di manodopera superava l'offerta; perciò, vennero chiamati a lavorare anche donne, bambini e prigionieri di guerra austriaci. L’11 maggio 1920 ad Iglesias, ci fu un’altra importante manifestazione, da parte di oltre 2000 minatori, che causò ben 5 morti.

Nel 1933 il Governo varò dei provvedimenti per contrastare la crisi, come la costituzione dell’IRI, meno ore di lavoro e il divieto di costruire nuovi impianti senza l’autorizzazione governativa. Nel 1934 con il “piano autarchico” aumentò la produzione mineraria, per volere del regime fascista.

Nel 1937 fu anche progettata una città con funzione amministrativa e governativa: Carbonia. La città venne ufficialmente inaugurata dal capo del Governo Benito Mussolini, il 18 dicembre 1938.

La Sardegna aveva un ruolo importante nella lotta contro gli inglesi perché si trova al centro del Mediterraneo permetteva di inviare i caccia-bombardieri nelle ex colonie come Malta, Gibilterra, ed Alessandria d’Egitto tramite gli aeroporti di Elmas, Decimomannu ed Alghero. L’Italia fu bombardata a partire dal 1943, così come Cagliari. Furono interrotte molte volte le linee ferroviarie a causa delle bombe e fu danneggiato in particolare la centrale elettrica di Porto Vesme. Furono ridotte drasticamente anche le produzioni, fatto che causò anche la perdita di molta manodopera, che passò da 30 mila operai nel 1940 a 9 mila nel 1944. La produzione di piombo fu quasi cessata del tutto. 4

Dal 1946 ai giorni nostri

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale le miniere erano praticamente inattive. Il 2 giugno 1946 fu instaurata la Repubblica Parlamentare, con un referendum popolare e il Paese iniziava la ricostruzione. Tra il 1946 e il '47 si registrò un aumento nella produzione di carbone e fu ripresa l'esportazione di piombo e zinco. Nella Sardegna impoverita dalla guerra, l'attività mineraria rappresentava, per migliaia di lavoratori del settore, una fonte di reddito sicura. Il 9 febbraio del 1948, dei malviventi entrarono negli uffici della direzione della miniera di Ingurtosu e si fecero consegnare un bottino di 10 milioni di lire, sotto la minaccia di armi automatiche e bombe a mano.

Nonostante il benessere dei lavoratori minerari, iniziò un periodo di lotte sindacali. "Nel gennaio 1947 un'azione di protesta organizzata per chiedere una migliore distribuzione di generi di prima necessità sfociò in uno scontro con le forze dell'ordine che intervennero massicciamente: la città Carbonia venne addirittura circondata da mezzi blindati e 36 operai furono arrestati".5

Il Governò "liberalizzò il mercato dei carboni fossili" cioè permise l'ingresso in Italia della vendita di combustibili provenienti da altri stati, soprattutto dalla Polonia, Stati Uniti e Inghilterra, che erano più competitivi dal punto di vista qualitativo ed economico, rispetto alla lignite del Sulcis. Iniziò una serie di licenziamenti che portarono ad agitazioni da parte dei minatori. Il carbone del Sulcis conteneva un basso potere di produrre calore e una grande quantità di zolfo, che rappresentava il maggiore ostacolo per lo sviluppo dell'attività mineraria.

L'A.Ca.I (Azienda Carboni Italiana, nel tentativo di utilizzare anche i materiali "residui di laveria" più piccoli, cercò di risollevare le difficoltà della lignite sarda, attraverso due operazioni:

  1. Costruire un'industria per la produzione di concimi azotati, per usare in modo diverso il carbon fossile
  2. Costruire un'industria termoelettrica che doveva essere sostenuta dal carbone del Sulcis. (che fu aperta nel 1959)
"Nel 1949 lunghi scioperi nel settore metallifero portarono ad una terribile sconfitta dei minatori, che dovettero rinunciare ad essere rappresentati dai sindacati. Le società ne approfittarono, in particolar modo la francese Pertusola (gruppo Penarroya), che aveva il controllo delle miniere più importanti della Sardegna..." 6

Nel 1948 fu scoperto un giacimento di fluorite a Sardara e, nel 1950 con la guerra di Corea, fu assorbito dall'industria bellica statunitense. Nel 1954 fu scoperto il giacimento di fluorite a Silius, considerato il principale giacimento italiano del settore.

Nel 1965 la formazione dell'ENEL, un ente statale per il settore elettrico, sostituì la Carbonifera Sarda e decise che la centrale termoelettrica del Sulcis sarebbe stata alimentata da derivati petroliferi, anziché dal carbone. Non servirono i numerosi scioperi dei minatori, contro il licenziamento di migliaia di posti di lavoro.

Nel 1973 la crisi petrolifera, permise ai politici sardi di ottenere dall' ENEL l'impegno di occuparsi delle miniere e non licenziare i lavoratori. Si cercò di ammodernare gli impianti e di introdurre l'uso dei macchinari per l'estrazione e il trasporto dei minerali, con meno manodopera e con costi più bassi. Il minatore tradizionale era stato sostituito da un operaio specializzato che con una macchina svolgeva il compito di molti operai. L'acquisto dei nuovi macchinari richiese molti soldi.

La crisi irreversibile dell’industria mineraria in Europa era già cominciata. "Negli anni ’80 e ’90, le miniere sarde chiusero una dopo l’altra. "7

Molteplici sono state le cause del fallimento del settore minerario sardo. Oltre agli aspetti già descritti, riguardanti le caratteristiche del carbone del Sulcis, altri motivi furono l'estensione dei giacimenti, molto più piccoli rispetto a quelli di altri continenti, ai metalli più economici provenienti dal "Terzo mondo", dall'uso di macchinari ancora tradizionali per i pochi investimenti e, soprattutto nelle miniere dell'Iglesiente, per la presenza di grandi quantità d'acqua in profondità che aumentavano i costi di estrazione. 8

1-B. Cauli. "Dall'ossidiana all'oro", ed. Salvure Oristano, pag.27-35.

2.Bruno Cauli, "Dall'ossidiana all'oro", ed. Salvure Oristano, pag. 48.

3.idem pag. 44-71.

4.Bruno Cauli, "Dall'ossidiana all'oro", ed. Salvure Oristano, da pag. 105 a pag.134.

5-Bruno Cauli, "Dall'ossidiana all'oro", ed. Salvure Oristano, pag. 139.

6-https://tratti.org/2010/01/15/storia-mineraria-della-sardegna/

7-idem

8-Bruno Cauli, "Dall'ossidiana all'oro", ed. Salvure Oristano, pag. 143-150.

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Prima miniera di fluorite in Sardegna. Il suo prodotto venne interamente assorbito dagli Stati Uniti, durante la Guerra di Corea.

Da "L'ossidiana all'oro", Bruno Cauli.

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Le tecniche di estrazione attraverso i secoli

I lavori di scavo in periodo romano procedevano dall'alto verso il basso, superando i 100 m di profondità, con l'uso di utensili manuali e qualche volta si servivano del fuoco per frantumare le rocce.

Verso il 190, i Romani inserirono nelle miniere anche il lavoro forzato: insieme ai "metallari"(minatori) che erano uomini liberi, ci furono anche i "damnati ad metalla" , schiavi, che erano spesso i prigionieri cristiani che si rifiutavano di rinnegare la loro fede.

Anche in epoca Pisana-Catalana, l'attività estrattiva era affidata alla sola forza muscolare, anche se i modi per estrarre il materiale, cambiavano a seconda del tipo di terreno:

-Per il "monte tenero" si usava il ferro, ossia i picconi, i badili, i cunei, le pale, ecc..

-per il " monte sodo" si usava il fuoco.

Nei filoni venivano scavate gallerie diritte (bottini), e traverse (dargomene), ma erano numerose le fosse in profondità, che arrivavano sino ai 200 metri.

Una volta staccato dalla roccia, il minerale veniva portato all'esterno in spalla, grazie allo zaino in cuoio (bolga), poi scaricato dentro grosse casse di legno (truogori), infine cernito da bambini e ragazzi e frantumato con delle mazze. Trasportato nei carri, veniva lavato lungo i corsi d'acqua, dove il minerale grazie ai crivelli, cioè setacci costituiti da un telaio a cui era fissata una rete metallica o una lamiera con vari fori, veniva cernito per separare il minerale dal materiale inutile. Finalmente, il prodotto veniva fuso. Essi usavano forni molto simili a quelli dei Romani. La lavorazione avveniva in due fasi: prima si ricavava il piombo argentifero eliminando le scorie; poi si otteneva l'argento attraverso la coppellazione, dove si eliminava il piombo dall'argento.1

Nel 1744 furono introdotte le mine, che rivoluzionarono i metodi di lavoro e velocizzarono i tempi, con maggiore produttività.

Tra le innovazioni tecniche, all'inizio dell'800, ci furono:

-L'uso intensivo di esplosivi;

-trasporto dei materiali, all'interno delle miniere, mediante i vagoni;

-i primi argani a mano;

-le prime laverie a mano

Nelle laverie il prodotto veniva frantumato a mano e separato da un "cernitoio", dove i prodotti erano suddivisi per qualità, in base alla quantità di piombo. Dopo il 1880, le laverie divennero meccanizzate.

Per l'Esposizione Universale di Parigi del 1900, vennero mostrate le innovazioni tecnologiche minerarie realizzate in Sardegna, in particolare vennero illustrati la "tavola oscillante" e il "cernitore magnetico" inventati da Erminio Ferraris, che modificarono i precedenti mezzi di estrazione.

L'uso dei martelli perforatori ad aria compressa, in sostituzione dei picconi, velocizzarono il lavoro, ma contemporaneamente causarono una malattia, sino ad allora poco nota: la silicosi, che colpiva soprattutto i minatori addetti alla perforazione e quelli che macinavano i minerali. Negli anni '35, fu sufficiente praticare un foro e far defluire l'acqua, a getto continuo, per diminuire notevolmente le polveri, migliorando anche la salute dei lavoratori.

Nei primi vent'anni del Novecento, le principali innovazioni furono:

-l'introduzione del calcestruzzo per rivestire i pozzi e le gallerie;

-la sostituzione delle funi di aloe con funi d'acciaio

-la maggiore diffusione delle perforatrici ad aria compressa

-nascita del processo di flottazione, conosciuto come "flottazione in schiuma".

Dopo il 1946 le miniere furono sostenute dagli interventi economici dello Stato, che permisero una maggiore meccanizzazione con l'uso di tagliatrici, nastri trasportatori, ecc... Inoltre il miglioramento dei metodi di flottazione portarono ad ulteriori miglioramenti delle tecniche di separazione e recupero dei minerali.2

Nella miniera di Rosas, dentro le celle di flottazione si separavano i metalli dal minerale, mediante l'uso di sostanze chimiche: si divideva dapprima il piombo, grazie al cianuro; successivamente lo zinco veniva separato grazie all'arsenico e infine veniva disgiunto il rame, mediante l'uso di altre sostanze, come l'olio di pino.

1-Cauli, Dall'Ossidiana all'oro", pag.27-40.

2-AAVV "Le miniere e i minatori della Sardegna". pag. 159-190.

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da "Le miniere e i minatori della Sardegna".

da "Le miniere e i minatori della Sardegna".

Cella di flottazione, macchinario per la separazione dei minerali nella laveria

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Le donne in miniera

Ogni mattina mamme e figlie raggiungevano il loro luogo di lavoro, alle prime luci dell’alba e a piedi nudi, dopo una camminata di vari chilometri. Per tutto il periodo di apertura delle miniere, ovvero centocinquanta anni, le donne vennero sfruttate con turni di lavoro massacranti, con impieghi molto più rischiosi rispetto alle altre persone, anche se alla fine la paga era quella più bassa di tutti, dato dal fatto che loro erano senza diritti. Per fortuna queste persone sono sempre state solidali fra loro, dandosi forza e coraggio. La tragedia più grande che noi ricordiamo è quella avvenuta il 4 maggio 1871, quando a Montevecchio morirono undici donne e bambini.

La routine di lavoro femminile era la seguente: si lavorava all’aperto sotto le intemperie, anche d’inverno, come cernitrici. Il loro compito era quello di separare il minerale da utilizzare con quello di scarto, spingere i vagoni più pesanti dalla miniera al piazzale. Ammalarsi e avere dei giorni di malattia non era concesso, ma questo accadeva anche per gli uomini. Anche il giorno dopo aver partorito si tornavano a lavoro per non farsi togliere neanche un giorno dalla busta paga. Nel 1985 sono stati ritrovati dei documenti con l’elenco delle lavoratrici minerarie registrate e alcune avevano addirittura 10 anni. Non bisogna dimenticare che le donne, nonostante tutto, hanno sempre lottato per avere i diritti, abbattendo tabù e regole di una società con tanti pregiudizi.1

1- https://www.rainews.it/tgr/sardegna/articoli/2023/03/iride-peis-le-mie-donne-in-miniera-escono-dalloblio-8164bb18-fe50-4eaa-aef7-3391ab05101e.html

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Un gruppo di cernitrici della miniera di Montevecchio (da AA.VV. "Le miniere e i minatori", Silvana Editoriale).

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Vita dei minatori Tra le due guerre e gli anni Cinquanta

Tra le due guerre i minatori erano quasi tutti sardi, si preferiva assumere locali e non stranieri, per dare salari più bassi. Le persone che andavano a lavorare per la prima volta nei centri estrattivi erano in prevalenza contadini o pastori poveri che dovevano adattarsi a vivere con un lavoro che andava avanti a duri regimi e in pessime condizioni.

Per i minatori le giornate erano tutte uguali: alle 6:45 suonava la sirena ed era il segno che tutti gli operai dovevano trovarsi sul posto di lavoro per l’appello e per rifornirsi degli oggetti necessari; alle sette iniziava il lavoro. I turni erano tre e duravano otto ore, senza interruzioni. La disciplina aziendale era fondamentale, anche se si riduceva a non contraddire la direzione della miniera (pena sanzioni e sospensioni dal lavoro). Il controllo dell'azienda non si limitava alle ore di lavoro, ma anche alla vita privata: nelle macchine fornite per il trasporto dalla miniera al paese di provenienza, non si poteva fumare, cantare e urlare e non si doveva assolutamente parlare di politica.

"Negli impianti di ridotte dimensioni i minatori lavoravano in condizioni di estremo disagio, con attrezzature antinfortunistiche rudimentali e insufficienti, senza servizi e assistenza sanitaria in miniera, con salari al di sotto dei minimi contrattuali ed erogati in modo irregolare".1

Abitazioni

Generalmente si arrivava in miniera dopo diverse ore di camminata, sia all'andata che al rientro, che si doveva sommare alle lunghe ore lavorative. Già tra le due guerre, furono costruiti i primi villaggi, che si trovavano vicini alla miniera.

In tutti i villaggi c’era la sede della direzione che aveva un aspetto che rendeva l’edificio più importante rispetto agli altri, le case degli impiegati, l'infermeria (anche se raramente) e lo spaccio per la vendita dei prodotti alimentari. Le più povere erano le case dei minatori, le più vicine a pozzi o laverie. Le case dei sardi erano delle capanne circolari con il tetto a punta. Le case di chi proveniva da altre regioni o stati, che poi abitarono anche i sardi, erano grandi camere o abitazioni familiari che sicuramente non avevano tutti i requisiti igienici.

A causa dell'aumento del numero dei lavoratori, si decise di fare un piano di ristrutturazione in cui si passò dalle capanne alle casette dove dormivano il maggior numero possibile di persone. Essi riposavano in brande che si portavano da casa, in letti a castello o per terra su vecchie coperte, sopra stracci, stuoie e nei casi dei più poveri, sull'erba secca.

Con il tempo cambiarono le condizioni. Ad esempio nel villaggio di Rosas, negli anni Cinquanta, le case familiari erano le più povere perché non avevano la luce e l'acqua, il bagno era in comune all'esterno, invece chi viveva da solo dormiva in un ostello. La corrente elettrica si trovava solo nella parte alta del villaggio dove c'erano le scuole, l'ufficio e la mensa. L'acqua corrente si trovava solo negli alloggi della direzione. Le case dei minatori erano illuminate con le lampade a carbone e le candele. L'acqua si prendeva alla fontana, dove si faceva il bucato. Ovviamente non si pagava l'affitto perché la società mineraria offriva al minatore e alla sua famiglia la casa che avrebbero dovuto lasciare, quando avrebbero terminato di lavorare. Le case più lussuose avevano il camino per riscaldarsi e un orticello. 2

Alimentazione

L’alimentazione era scarsa anche perché altrimenti avrebbe portato via troppi soldi, quindi i pasti erano la colazione e, a fine lavoro, un pasto più abbondante. L’orario della colazione era consumato tra le 4 e le 6 del mattino e il pranzo tra le 17 e le 18. Il pasto principale era la minestra di legumi, pasta seguita da formaggio, insaccati o carne in scatola con pane e vino. Se oltre ad essere minatori erano anche contadini, mangiavano anche latte, frutta e verdura e carne, circa due volte a settimana. La colazione era composta da pane e companatico e a volte la minestra avanzata dal giorno prima. I bambini per colazione mangiavano latte e pane e facevano una merenda che, se andavano a scuola, era offerta dalla refezione scolastica. Per un operaio era molto frustrante non poter comprare qualcosa di diverso da mangiare, ma al tempo le famiglie erano numerose e i salari bassi, quindi ci si accontentava.

Salari

La paga era solitamente più alta rispetto a quella di altri lavori, ma era differenziata a seconda della qualifica dell'operaio e della società a cui si apparteneva. Le differenze di stipendio erano enormi: gli operai specializzati che avevano una paga più alta stavano meglio, avevano una casa con almeno i servizi igienici, i figli andavano a scuola anche grazie alle borse di studio che la società mineraria dava agli studenti meritevoli, per farli laureare in ingegneria. Gli operai che guadagnavano meno, invece, vivevano in miseria, cattiva salute e con problemi lavorativi, con un altro numero di alcolizzati. Coloro che percepivano meno erano i manovali comuni, che spesso non riuscivano ad arrivare a fine mese, perciò a contribuire al sostentamento familiare partecipavano anche le mogli e i figli.

Lo stipendio dei minatori variava anche in base alla quantità di lavoro svolta, più carrelli venivano trasportati più si guadagnava e lavorare era molto duro anche perché i sorveglianti maltrattavano gli operai e facevano di tutto per far togliere ore dalla busta paga e far risparmiare la società.

Considerando che il maggior salario era di 65.000 lire con condizioni di lavoro disagiate e pericolose, possiamo dire che erano sottopagati. 3

1- AA VV "Le miniere e i minatori in Sardegna" , pag. 81-83.

2-Ecomuseo miniere Rosas "I minatori raccontano"

3- AA VV "Le miniere e i minatori in Sardegna" da pagina 191 a pagina 195

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La silicosi

Le dure condizioni di vita causavano diverse malattie, ma quella tipica del minatore era la silicosi. Essa è una pneumoconiosi causata dall'inalazione di polveri del carbone, al alto contenuto di carbonio e del silice, che si depositano nei bronchioli polmonari. La malattia si manifesta dopo circa 20 anni, di solito non causa sintomi. La sintomatologia è spesso legata alle bronchiti, che si manifestano con una tosse fastidiosa.

Alla silicosi si associano altre malattie come: artrite reumatoide, cancro gastrico. 1

1- dmanuals.com/it-it/professionale/malattie-polmonari/disturbi-polmonari-ambientali/pneumoconiosi-dei-minatori-di-carbone

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Riutilizzo dei siti minerari: Rosas da miniera a museo e non solo...

L'attività estrattiva, durata millenni, ha lasciato nel territorio "enormi crateri, grandi cumuli di detriti, dighe per la formazione di invasi o di bacini di decantazione" con la creazione di grandi impianti, edifici, locali per i macchinari, ecc.. Lo scavo di centinaia di gallerie ha portato al deposito, in superficie, di una grandissima quantità di materiali, che hanno modificato i colori del paesaggio, come il colore rossastro dei territori dell'iglesiente. Questi materiali hanno ricoperto terreni fertili, distruggendo le risorse agricole e causando danni ambientali.1

Le discariche formate dagli scarti di laveria sono molto difficili da risanare, anche a causa dei terreni "facilmente erodibili". Inoltre le piogge trasportano a valle i metalli e i materiali inquinanti presenti negli accumuli dei materiali di scarto.

"L'acqua, specie nei periodi caratterizzati da piogge particolarmente intense, ..,asporta delle discariche notevoli quantità di materiali solidi e li mette in sospensione...e si accumulano sulla riva facendo avanzare notevolmente le spiagge". 2

Tuttavia gli effetti degli scavi minerari, non sono sempre ampi e duraturi, delle volte scompaiono con il tempo, senza lasciare tracce. Dopo la chiusura delle miniere c'è stato un notevole sforzo, anche dell'UE, per il recupero ambientale dei siti dismessi, per riconvertirli.3

UN ESEMPIO DI RICONVERSIONE DEL SITO MINERARIO: ROSAS

Rosas era una delle miniere più grandi della Sardegna. Si trova nel territorio di Narcao, ed è stata trasformata successivamente in un museo, dimostrandosi un punto di interesse per i turisti, sia per la particolarità del suo complesso minerario che per la bellezza dell’ambiente in cui si trova. Fino al 1851 fu di proprietà dello Stato e fu concessa alla Sardegna. Si estraevano soprattutto ossidati zinciferi e galena, poi vennero introdotti anche i solfuri misti. Anni dopo venne costruito il villaggio dove abitavano i minatori; nel tempo fu ampliato. Nel villaggio vivevano circa 200 persone e i servizi erano la scuola, una cappella, l'ufficio postale, la foresteria, il laboratorio chimico, la residenza del direttore, la laveria, il magazzino di stoccaggio e le case dei minatori. Ci fu una fase di declino:venne dismessa negli anni Settanta e definitivamente chiusa negli anni Ottanta.

Fu venduta al Comune di Narcao per una cifra simbolica, con il compito di bonificarla, successivamente pagato dalla Regione Sardegna.

Il sito non fu subito trasformato in museo, perché trovandosi in campagna bisognava tutelare la natura, le zone agricole, i pascoli. Fatto ciò si recuperarono le strutture minerarie, furono fatti dei ripristini in ambito ambientale con la messa in sicurezza delle discariche. Successivamente è stata sistemata la strada che collega le località vicine, proprio in un punto non molto distante all’ingresso della miniera, con una vista molto bella. Dopo questi interventi è stato finalmente aperto il villaggio minerario di Rosas, circa nel 2008, con le sue vecchie strutture, che sono state tutte riconvertite, esclusa la casa del direttore che è stata venduta ad un privato.

La miniera è divenuta oggi un museo, la laveria ospita i macchinari della miniera, la receptions e un museo dei minerali. Il magazzino di stoccaggio è un bar-pizzeria, mentre l'ufficio postale è un ristorante; la foresteria è divenuta un ostello, così come la scuola e la cappella. Questi posti letto e le 20 casette dei minatori sono state risistemate e vengono affittati ai turisti che vogliono vivere un'esperienza particolare.

Il villaggio è' stato trasformato in un museo e in un luogo, dove vivere nuove esperienze di vita.4

1-A. F. Fadda "Siti minerari in Sardegna, COEDISAR, p.29

2-idem

3-idem, pag. 51-58   

4- Intervista alle guide del sito minerario,

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Manlio Massole: Un percorso al contrario, da professore a minatore

Manlio Massole nacque a Buggerru nel 1930 e ci ha lasciati all’età di 88 anni, nell’ottobre del 2018. E’ stato scrittore, poeta e insegnante. Per il libro “Stefanino nacque ricco” ottenne il Premio Diritti Umani. Lavorò a Buggerru, vicino a Carbonia e Iglesias, come insegnante di italiano, storia e geografia. In quel periodo era attivo il villaggio minerario che rimase operativo fino al 1977. Vi condividiamo un’intervista, dove racconta che i suoi amici di allora erano tutti minatori e vivevano in modo completamente diverso dal suoi.

 Gli amici “Mi dicevano: tu non lavori”, ”io lavoravo, lavoravo molto”.

-“Attento quando apri il registro non ti scoppi tra le mani”

-“ se ti cade una matita sul piede te lo frattura”. “Finita la lezione ti trovi molto sudato?”

Così Manlio, si accorse che doveva colmare la distanza che c’era tra lui e i suoi alunni,  perché si rese conto che andava ad insegnare contenuti appresi sui libri, ma erano lontani dalla vita che vivevano le famiglie dei suoi scolari, che un giorno avrebbero vissuto anche loro.

Decise di provare a vivere una vita completamente diversa, incentrata sulla miniera, i minatori e il lavoro nel sottosuolo, ma quella vita lo conquistò: da professore divenne  minatore.

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Intervista a Manlio Massole

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Storytelling

Antonio, il bambino che si salvò

Un bambino che si salva dalla strage di Marcinelle racconta in un’intervista quello che ha passato. Queste sono le sue parole: 

“Il mio nome è Antonio, ho 74 anni e mi ricordo ancora l’accaduto come se fosse ieri. Avevo 7 anni e vivevo in Belgio da quando ne avevo 3. Eravamo andati a vivere là perché mio padre cercava lavoro come minatore, perché anche mio nonno e mio bisnonno erano minatori, ma in Sardegna nella miniera di Montevecchio. A Marcinelle il salario era più alto e per noi famiglie i vantaggi erano tanti, anche solo il fatto che mio padre potesse andare a lavoro senza pagare i mezzi di trasporto. Dopo la morte di mio padre (che al tempo pensavo che non sarebbe mai avvenuta), mi vedevo già lì a lavorare al suo posto. Proprio non capivo perché molti Belgi, non volessero andare a lavorare lì. Dopo diversi anni ho capito il motivo e anche io ho deciso di non fare più il minatore. Il giorno della sua morte, eravamo andati insieme in miniera e come sempre mi aveva detto di stare attento e di imparare bene il lavoro perché mi sarebbe servito per tutta la vita. Non mi aspettavo quello che sarebbe successo. Avevo cominciato a sentire caldo, ma non avrei mai pensato ad un incendio. Partì tutto dall’ultimo piano, quello dei 975 metri, mio padre stava a 800 metri. Io ero ancora in superficie, stavo per salire sulla cosiddetta gabbia, ovvero l’ascensore che ti porta nei vari ripiani della miniera, nel mio caso doveva essere il piano dei 530 metri. A un certo punto si sentì un boato, come se fosse scoppiato qualcosa, il che era normale dato il fatto che per scavare e creare nuove gallerie si usava la dinamite e i picconi, che comunque facevano rumore. Dopo qualche secondo questi rumori furono seguiti da delle urla che non erano usuali. All'improvviso l’ascensore scese più velocemente, prima di arrivare a destinazione. Questo fatto mi salvò la vita. Infatti qualcuno aveva usato l’ascensore quando non poteva e aveva causato delle scintille che, con i gas, avevano creato un incendio in alcuni piani. Gli altri erano morti soffocati perché i fumi causati dal fuoco si erano propagati per tutta la miniera. La cosa peggiore è che per un po' di tempo non nessuno si era accorto di niente e solo dopo sono venuti a controllare. Nell’ascensore ero con altri cinque minatori. Sicuramente per salvare noi sono morte delle persone. Dopo averci fatto risalire bloccarono per alcune ore l’ascensore: la maggior parte delle persone che rimasero sotto morirono. Ci informarono che c’era uno stato di emergenza e qualche minuto dopo arrivarono i soccorritori. Si calarono per entrare sotto terra e da quel giorno non uscirono più vivi neanche loro. Si iniziò a capire che ci sarebbero stati molti morti, perché l’incendio aveva bloccato le vie di fuga.

Diverse ore dopo la mia risalita ci avvisarono che le funi degli ascensori si erano spezzate. Io speravo ancora di rivedere mio padre vivo, risalire su quella maledetta gabbia. Dopo ci dissero anche dei primi cadaveri che si trovavano ai 750 metri e che stavano cercando di andare più in profondità, per dare delle risposte a molte famiglie. A mezzogiorno entrarono dentro la bocca dell’inferno gli ultimi soccorritori che si fermarono quasi subito, bloccati dai fumi.

Di pomeriggio arrivarono alle famiglie i messaggi che annunciavano i nomi dei morti: non erano riusciti a salvare nessuno. Questo messaggio arrivò anche a mia madre, e io lo conservo ancora. I soccorritori riuscirono a salvare altre sette persone, ma nessuna di queste era mio padre. Io pensavo ancora che l’avrebbero trovato, ma la mia famiglia aveva già capito.

Il 22 agosto, alle 3 di notte, risalì l'ultimo soccorritore, che affermò che erano tutti morti, la maggior parte italiani, tra cui mio padre. Oltre a me si salvarono soltanto 12 persone su 275. Io sono andato anche al processo di Adolphe Calicis, venne considerato colpevole e condannato a sei mesi di reclusione e al pagamento di una multa da 2000 franchi belgi. Io non ero d’accordo con la sua condanna; io ero presente e non è stata colpa di nessuno. Le famiglie dei minatori morti, compresa la mia famiglia, non furono risarcite neanche di una lira. Io cambiai lavoro e feci da fattorino per una panetteria. Andai a lavorare dopo pochi giorni l’incidente, perché dovevamo mangiare in qualche modo. Questo lavoro mi faceva comodo perché se avanzava del pane me lo prendevo. Ho fatto una vita dura da giovane; quando crebbi scrissi dei libri, sulla strage e sulla mia esperienza di minatore. Grazie a questi libri divenni una guida turistica della miniera, lavoro che feci fino a una decina di anni fa, quando andai in pensione. Non ho mai dimenticato la vita dura di miniera, soprattutto di mio padre e la sua tragica morte. ”

Abbiamo inventato la storia, dopo aver letto e sentito, nei video, il racconto della Strage di Marcinelle, dove morirono 265 uomini di cui 136 italiani.

https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Marcinelle

Autori

Classe 2A -gruppo1-A.S. 2022/23- della Scuola Secondaria di I grado dell'Istituto Comprensivo "E. Puxeddu" di Villasor

  • prof.ssa Lorella Sanneris (coordinamento)
  • Angelica Abis
  • Anna Matta
  • Mattia Sciola