Emanuela Loi
Agente della Polizia di Stato, scomparsa nella strage di via d'Amelio.
(Cagliari, 9 ottobre 1967 - Palermo, 19 luglio 1992)
Cenni biografici
Emanuela Loi, originaria di Sestu, nasce il 9 ottobre del 1967. In questo paese in provincia di Cagliari vive fino all'ingresso nella Polizia di Stato assieme alla sua famiglia, composta da cinque persone: la mamma Berta, il papà Virgilio, il fratello maggiore Marcello e la sorella Claudia. Emanuela era l'ultimogenita, una ragazza studiosa, pignola, testarda, ma anche solare, leale e generosa, come testimonia chi l'ha conosciuta.
Da piccola sognava di diventare insegnante perché adorava i bambini e per seguire questa sua passione frequentò l'Istituto magistrale De Sanctis di Cagliari (ndr. oggi Liceo delle Scienze Umane). Dopo il diploma, insieme alla sorella, partecipò a tanti concorsi per la scuola, per le Poste e, infine, per la Polizia. Fu proprio Claudia, che in realtà nutriva più interesse di lei ad entrare nelle forze dell'ordine, a convincere Emanuela, che superò la selezione con il massimo dei voti. Poco dopo iniziò la Scuola Allievi di Trieste. Animata da un forte senso di giustizia, ben presto si rese conto che le piaceva garantire il rispetto delle regole, rassicurare i più deboli, aiutare gli altri, così, quando le arrivò notizia di essere vincitrice di una cattedra, scelse di restare.
In seguito al giuramento del 1989, le fu assegnata come sede Palermo e solo nel giugno del 1992 divenne parte della scorta di Paolo Borsellino.
La sua stanza da bambina e adolescente oggi è quasi un museo
Per ricordare Emanuela, la famiglia ha lasciato la sua stanza intatta, proprio come trent’anni fa, al fine di realizzare in futuro con tutti i ricordi in essa custoditi un vero e proprio museo aperto alle scolaresche. Nella cameretta si può trovare una libreria in noce degli anni ‘60, un pianoforte azzurro a corda e tante foto scattate con la sua macchina fotografica preferita. Il suo letto ha ancora lo stesso copriletto celeste sul quale è adagiata una bambola in porcellana, dono di quando era una bambina. Il suo volto incorniciato da riccioli biondi e il suo sorriso sono dappertutto, sulle mensole, alle pareti, negli album fotografici. Lì dentro c'è tutta la sua vita di bambina, adolescente e della sua breve ma intensa carriera ed è custodita anche la medaglia d'oro al valore civile simbolo del suo sacrificio per lo Stato. 1
1 "Preposta al servizio di scorta del giudice Paolo Borsellino, pur consapevole dei gravi rischi cui si esponeva a causa della recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell'ordine giudiziario e delle Forze di Polizia, assolveva il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere. Barbaramente trucidata in un proditorio agguato di stampo mafioso, sacrificava la vita a difesa dello Stato e delle Istituzioni. Palermo, 19 luglio 1992." Si veda https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/4143 .
Emanuela in servizio a Palermo: dai primi incarichi alla strage.
La carriera lavorativa
Quando Emanuela iniziò il suo lavoro da poliziotta, tra i diversi incarichi, le fu affidata la stretta sorveglianza di Villa Pajno, casa dell'allora parlamentare Sergio Mattarella (ndr. oggi Presidente della Repubblica), perché il fratello Piersanti, presidente della Regione Sicilia, era stato ucciso dalla mafia, inoltre fu parte della scorta personale della senatrice Pina Maisano e si occupò del piantonamento del boss Francesco Madonia.
Dopo la strage di Capaci, a Emanuela venne assegnato il servizio di scorta di Paolo Borsellino. Appena il giudice la vide, avrebbe detto:
“E lei dovrebbe difendere me? Dovrei essere io a difendere lei”1.
In quello stesso anno, nella strage di Via D’Amelio del 19 luglio 1992, Emanuela perse la vita a soli 24 anni con il sogno di tornare a lavorare a Cagliari e di poter sposare il fidanzato.
Il suo forte senso del dovere si coglie anche da un episodio accaduto una settimana prima della strage. Mentre era in vacanza in Sardegna, si era, infatti, ammalata e le fu consigliato di attendere qualche giorno prima di ripartire per la Sicilia, ma lei non volle essere sostituita ed impedire così ad un altro collega di andare in ferie. La conseguenza del suo altruismo è nota a tutti.
Il forte legame con i familiari e la sorella Claudia
Emanuela non parlava mai del suo lavoro con i familiari. Per evitare che si preoccupassero diceva loro di essere serena e tranquilla e di non scortare persone che sarebbero state prese di mira dalla mafia. Aveva un forte legame in particolare con la sorella Claudia, che, pur essendo più grande di Emanuela di un anno, l'ammirava tanto e quando stava con lei si sentiva al sicuro.
La famiglia fu orgogliosa quando venne a sapere che Emanuela aveva vinto il concorso per entrare in polizia, soprattutto il padre, perché sperava che la figlia andasse a combattere per il bene della società, ma anche la sorella Claudia che, nonostante avesse partecipato allo stesso concorso, non lo aveva superato. Le preoccupazioni arrivarono quando Emanuela fu trasferita a Palermo, perché tutti erano a conoscenza della pericolosità della città, nella quale erano accaduti molti omicidi e attentati mafiosi, e queste preoccupazioni si rivelarono corrette.
Dal dolore per la scomparsa di Emanuela all'impegno della testimonianza
La famiglia scoprì della strage dalla televisione, mentre aspettava con ansia una telefonata da parte di Emanuela, come era avvenuto anche dopo Capaci. La sorella Claudia, che si trovava in vacanza e aveva chiamato a casa per conoscere l'indirizzo di Emanuela e inviarle una cartolina, fu invitata a chiudere proprio per tenere libero il telefono. Quando si seppero i nomi delle vittime, nessuno poteva credere al fatto che la ragazza fosse morta così tragicamente.
Dopo la scomparsa di Emanuela, la vita dei suoi familiari è cambiata tanto; Claudia ha iniziato ad apprezzare le cose semplici della vita e ha trovato nella fede la forza di andare avanti. Ha avuto, inoltre, il coraggio di trasformare quel dolore che non passa mai in qualcosa di buono, cioè nell'impegno della testimonianza, non solo per non dimenticare Emanuela, ma per far sì che simili avvenimenti non accadano più. Ogni volta che parla ai ragazzi delle scuole di sua sorella è come un viaggio nel tempo, ma così sente di compiere il proprio dovere, esattamente come fece sua sorella ormai trenta anni fa 2.
1 Strada 2016, p. 112.
2 Queste informazioni sono state da noi apprese direttamente dalla signora Loi, ma sono riportate anche in numerose interviste da lei rilasciate. Per maggiori dettagli, si rimanda alla bibliografia.
Chi era il giudice Paolo Borsellino?
Paolo Borsellino nasce a Palermo il 19 gennaio del 1940. Studente modello fin da bambino, frequenta il liceo classico, intraprende gli studi in Legge e si laurea in giurisprudenza nel 1962. L’anno dopo partecipa al concorso di accesso alla magistratura, diventando così il più giovane magistrato italiano.
Dopo essersi occupato presso il Tribunale di Palermo di indagini sui clan mafiosi della città, Borsellino diventa un componente del Pool Antimafia (1983) insieme al suo collega e amico Giovanni Falcone1, con il quale riceve le prime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, come Tommaso Buscetta, che consentiranno di preparare il famoso maxiprocesso. Infatti, nel 1985, per ragioni di sicurezza, Borsellino e Falcone sono ospitati, a loro spese2, nella foresteria del carcere dell’Asinara (Sardegna) proprio per preparare il processo citato, che terminerà nel 1987 con 346 condanne.
Nel 1986 Borsellino assume l’incarico di procuratore della Repubblica di Marsala, ma nel 1992 torna a Palermo, dove viene nominato Procuratore aggiunto per coordinare l’attività antimafia.
Il 1992 è anche l’anno delle stragi che strapperanno via la vita ai due giudici: il 23 maggio, infatti, a Capaci perdono la vita Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e la scorta.
La grande sofferenza per la tragica scomparsa dell’amico non gli impedisce, però, di continuare il suo lavoro pur nella consapevolezza che sarebbe stato lui il prossimo a morire:
“Ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà (poliziotto vittima di Cosa Nostra) quando ci recammo insieme sul luogo dove era stato ucciso il Dott. Montana (commissario della Squadra Mobile di Palermo vittima della mafia) alla fine del luglio 1985, credo. Mi disse: "Convinciamoci che siamo cadaveri che camminano. La sua espressione vorrei ripeterla, ma vorrei farlo in modo più ottimistico. Io accetto e ho sempre accettato più che il rischio la condizione e quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, del modo in cui lo faccio.”3.
Borsellino, infatti, perde la vita nella strage di Via D'Amelio il 19 luglio 1992. Nella sua carriera da giudice ha incontrato numerose persone: truffatori, pregiudicati, rapinatori e criminali, ma in ognuno di loro è riuscito a trovare un tratto di umanità4.
1 Le vite di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si sono intrecciate fin dall'inizio: entrambi sono nati a Palermo e vissuti nella Kalsa, l'antico quartiere di origine araba della città. Furono amici fin da bambini e si ritrovarono insieme anche a scuola, frequentando il liceo classico, seppur in classi diverse.
2 Il soggiorno durò 33 giorni e costò 415.800 lire a testa per il pernottamento, cioè 12.600 lire al giorno, come rivelò lo stesso Borsellino.
3 Dichiarazione rilasciata da P. Borsellino a Lamberto Sposini, allora vicedirettore del Tg5.(https://www.youtube.com/watch?v=6Qn8ZNcMejI)
4 https://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/paolo_borsellino_vers_18_07_2017_2.pdf, p. 3.
La strage di via D'Amelio
Domenica 19 Luglio 1992, alle 16:58 circa, mentre l’Italia soffriva ancora per la strage di Capaci, accaduta soltanto 57 giorni prima, un’altra strage si consumò per volere di Cosa Nostra. Paolo Borsellino stava andando a trovare sua madre, in via D’Amelio, come faceva ogni domenica, quando una Fiat 126, rubata e imbottita di esplosivo, saltò in aria. Insieme al giudice persero la vita gli agenti della scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto è stato Antonino Vullo, che, più lontano dall'auto, ha potuto offrire testimonianza degli ultimi momenti di vita del giudice, di Emanuela e degli altri agenti. Ci sarebbe stato un lungo momento, a suo dire, dopo che il giudice suonò al citofono, in cui i 5 agenti della scorta erano tutti accanto a lui. Catalano avrebbe addirittura dato da accendere a Borsellino che fumava una sigaretta. Erano, perciò, un bersaglio perfetto, ma non accadde nulla, come se qualcosa avesse ritardato l'esplosione. In contrasto con questa testimonianza, vi è quella di un collaboratore di giustizia che ha, invece, raccontato di aver visto Emanuela Loi avere uno scatto, come se avesse notato qualcosa1.
Borsellino, in quel giorno, aveva con sé la sua agenda rossa all'interno della quale appuntava i nomi dei politici corrotti da Cosa Nostra, i segreti delle stragi e le indicazioni dei responsabili delle trattative Stato-Mafia. Quella agenda non è mai stata ritrovata, nonostante i video che testimoniano che si trovasse per terra, vicina al corpo morto del giudice.
Insomma, ricostruire quei momenti e le precise responsabilità sembra ancora impossibile. Non a caso, in una sentenza depositata il 30 giugno 2018 la Corte d’Assise di Caltanissetta ha definito, infatti, la strage «uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana»2.
2 https://www.leccenews24.it/cronaca/anniversario-morte-paolo-borsellino-strage-via-amelio.htm .
Paolo Borsellino ed Emanuela Loi, legati nel lavoro e nei valori
Paolo Borsellino ed Emanuela Loi sono stati accomunati dallo stesso tragico destino, ma anche dallo stesso forte senso del dovere, come emerge da alcune dichiarazioni, nelle quali raccontano il motivo per cui vanno avanti con il proprio lavoro nonostante la paura per sé e per i propri familiari causata dalla mafia.
Paolo Borsellino: «Io accetto e ho sempre accettato più che il rischio la condizione e quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, del modo in cui lo faccio. Lo accetto perché ho scelto questo lavoro e sapevo sin dall'inizio che avrei corso questi pericoli (...). La sensazione di essere un sopravvissuto (...) non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio».1
Emanuela Loi: «Se ho scelto di fare la poliziotta non posso tirarmi indietro. So benissimo che fare l'agente di polizia in questa città è più difficile che nelle altre, ma a me piace».2
1 Dichiarazione rilasciata da P. Borsellino a Lamberto Sposini, allora vicedirettore del Tg5. Si veda https://www.youtube.com/watch?v=6Qn8ZNcMejI .
2 Si veda https://www.focus.it/cultura/storia/giovanni-falcone-paolo-borsellino-il-coraggio-di-essere-eroi .
I luoghi della memoria e della legalità in Sardegna
La Sardegna ha deciso di celebrare il ricordo di Emanuela Loi intitolandole monumenti, scuole, vie, etc.
Il comune di Villamassargia, per esempio, ha deciso di dedicarle, nella rotatoria all’ingresso del paese, una stele commemorativa con l’intento di dimostrare la vicinanza del paese ai principi di libertà e legalità, difesi con dedizione da uomini e donne come Emanuela.
Anche molte scuole, come l’IPIA di Carbonia-Sant’Antioco, sono state dedicate alla giovane poliziotta sarda, per ricordare a tutti i ragazzi, il suo sacrificio, il suo senso del dovere e ribadire l’importanza del valore della legalità.
L’opera, senza dubbio, più maestosa è, però, il ponte strallato alle porte di Cagliari, la cui costruzione è stata avviata nel 2005. Il ponte è lungo oltre 80 metri e ha una struttura in cemento armato con un’antenna di quasi 60 metri. Si è rivelato fondamentale per migliorare la viabilità della Strada Statale 554 verso il Policlinico Universitario, all’altezza di Monserrato-Sestu.
Infine, proprio a Sestu, suo paese natale, le sono stati dedicati una via con targa commemorativa e un murales. Quest’ultimo, che abbiamo scelto come copertina della nostra ricerca, è situato in una piazzetta in cui sorge il “Parco della Legalità Falcone e Borsellino”. Il murales raffigura al centro Emanuela e dei bambini che la guardano e le dedicano un pensiero in linea con l’esempio che ha lasciato:
Vogliamo crescere liberi, mettendo a frutto i nostri meriti, i nostri studi, le nostre capacità.